Ci siamo fidanzati.

Per chi si fosse perso il post precedente sulla mi indecisione sul dichiarami o meno: https://www.reddit.com/r/Relazioni/s/5F4EvIX0EM

Racconto della vicenda:

Allora, la serata è iniziata normalmente: il nostro piano era andare a prendere un kebab. Tutto normale, prendiamo il numeretto e ci mettiamo in fila. Abbiamo aspettato credo più di un’ora e in quell’oretta già ho notato che ci fosse una chimica particolare; cose stupide, non chissà cosa: ridevamo assieme ed eravamo molto affiatati, lui ogni tanto cercava di toccarmi con una scusa, tipo per il fatto che io dovessi alzarmi sulle punte per vedere cosa stessero facendo dentro il locale e lui a una certa ha provato a prendermi in braccio. Cose così, cose non troppo esplicite. Prendiamo il kebab, ci mettiamo su una panchina a mangiarlo: io lo finisco in tre secondi perché ero affamata, lui notavo che ci stesse mettendo un po’ troppo tempo, così gli ho chiesto perché non stesse mangiando. Lui mi ha risposto: “eh no, ho ansia”, “in situazioni di ansia non riesco a mangiare”. Gli chiedo cosa ci fosse di ansiogeno nella situazione e lui “eeeh, fa freddo”, “stiamo fuori”, ”ci sei tu”. A quel “ci sei tu” l’ho presa un po’ sul ridere, però già lì diciamo che una mezza idea me l’ero fatta e avevo capito l’andazzo della serata, quindi ero ancora più motivata a fargli sentire quella canzone. Dopo il kebab, ci dirigiamo alla macchina e andiamo al parcheggio. Andiamo alla spiaggia, decido di fargliela vedere. Io lì stavo iniziando a sentirmi tutto il kebab che mi risaliva per l’ansia. Andiamo di fronte al mare, io inizio ad andare in tilt: salto, cado, corro. Mi siedo in riva al mare, sperando si sedesse anche lui: si è accovacciato e nonostante gli abbia proposto di sedersi, ha preferito di no per evitare di sporcarsi. A quel punto tiro un respiro enorme (con tutto il kebab che ancora mi stava risalendo) e dico: “ah Carletto, devo farti sentire la canzone”. La metto, poggio il telefono nella sabbia e stiamo a sentirla così, nel chill. Io ogni tanto attaccavo a parlare a macchinetta.

Lui non ha chissà quale reazione, anzi ha passato gran parte del tempo a cercare di levare la sabbia dal mio telefono perché impulsivamente io l’avevo lanciato lì.

Notando la sua reazione un po’ asettica, decido di provare qualcosa di più: mi alzo e mi dirigo verso gli scogli, facendogli cenno di seguirmi. Lui esegue. Già mentre camminavamo, notavo che lui tendeva mooooooooolto di più a cercare il contatto fisico (mi metteva una mano dietro la schiena). Arriviamo lì agli scogli e, dandoci la mano, ne cerchiamo uno abbastanza piatto per sederci. Lo trovo per prima, ci sediamo lì. Rimaniamo lì di fronte al mare per un po’ a parlare davvero di tutto: persone che conoscevamo, se preferissimo mare o montagna; nel frattempo lui iniziava tipo ad abbracciarmi, io dopo un po’ mi sono fatta coraggio e ho fatto lo stesso. Ci troviamo praticamente abbracciati, sugli scogli, davanti al mare. Situazione molto wholesome quanto imbarazzante. Ad una certa lui mi fa: “posso?”, gli chiedo a cosa si riferisse e lui fa cenno di baciarmi. Momento panico. Mi viene un attacco di panico. Ci viene, specifichiamo. Prima ho iniziato io, poi dopo è andato in panico anche lui. Inizia a proporre di andare via perché stava iniziando a fare freddo e si era anche fatta una certa. Io, nel pallone più totale, ho iniziato a parlargli e a fargli discorsi in lingue diverse (mi succede in situazioni che non so gestire o di forti emozioni): prima danese, poi spagnolo, francese, infine torno all’italiano senza però riuscire ad esprimermi. In danese gli avevo detto: “se vuoi baciarmi, fallo. Io vorrei, ma non ci riesco”. Lui fa finta di capire e ci scherza su, poi dice “vabbè dai su, andiamo, ci pensiamo in un altro momento”. Io: ”NO, ASPETTA”. Botta di coraggio assurda, mi fiondo e gli do un bacio. Cervello un’altra volta in tilt: inizio a ripetere ad alta voce “jeg gjørde det” (“ce l’ho fatta”), una, due, tre, quattro, non so quante volte. Lui ogni volta rideva, poi avendo compreso il significato, probabilmente anche guardando la mia espressione, esclama “sì, ce l’hai fatta”.

Ci alziamo e ci avviamo verso la macchina. In macchina, prima di partire, gli leggo il papiello che ti ho mandato. Rimaniamo a parlare lì per tipo un’oretta e mezza di ansie e paure, un po’ anche diciamo sotto forma di codice, senza essere troppo espliciti. Io lì piango, ma piango come penso non mi capitava da anni: era un pianto di gioia, di quando finalmente riesci ad esternare una miriade di emozioni rimaste dentro per troppo tempo, di quando senti finalmente di avercela fatta, di aver fatto una cosa che tempo prima non avresti mai avuto il coraggio di fare. Partiamo, arriviamo sotto casa: si erano fatte le 02:30 più o meno. Prima di andarmene gli chiedo: “ma quindi io e te mi stiamo insieme?” lui risponde: “eh a questo punto penso di sì”. Io esplodo un’altra volta di gioia. Ogni tanto mi blocco per evitare di esprimere troppo, nonostante a lui non sembrava dargli troppo fastidio. Io mi ero calmata rispetto a prima, ora quello in tilt sembrava molto essere lui. Torno a casa saltellando, col kebab ancora più sullo stomaco di prima, ma veramente tanto tanto tanto felice.

the end